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Genova tra il VI e il XII secolo, domani la conferenza sui secoli meno noti della storia della città

L’Associazione Genovapiedi invita al quarto incontro delle serie “8 lezioni su Genova, la storia di genova attraverso i secoli” Appuntamento domani, 15 marzo, alle 17, presso l’Alliance Francaise in via Garibaldi, 20. Conferenza a cura di Valeria Polonio dal titolo “Costruzione di una vigorosa identità: Genova tra il VI e il XII secolo”. Entrata libera. L’iniziativa si svolge sotto il patrocinio del Municipio Centro Est.

crociate

Dopo la caduta dell’Impero romano, Genova segue le sorti dell’Italia, venendo governata dagli Eruli di Odoacre (476-493) e dai Goti per poi ritornare in mano romano-bizantina (nominalmente nel 538, ma Teia morì nel 553). Sostanzialmente l’organizzazione della Prefettura rimase intatta in questi anni, quindi Genova, con la Liguria, rientrava nella provincia delle Alpi Cozie. Nel 568 i Longobardi invasero l’Italia, ma non la Liguria. Nel 580 i Bizantini riorganizzarono l’Italia costituendo le eparchie: in particolare la Liguria con Genova passò sotto l’Urbicaria. Dopo soli quattro anni Maurizio I di Bisanzio istituì la Provincia Maritima Italorum nel contesto dell’Esarcato di Ravenna.Non è certo se Genova fosse capoluogo di queste amministrazioni o di ulteriori suddivisioni. È noto però che con la caduta di Milano sotto il dominio Longobardo (569), Genova accoglie i vicarii del Prefetto Pretorio e lo stesso Arcivescovo milanese con curia al seguito. Può esserci comunque stata una precedente riorganizzazione territoriale in direzione genovese, forse da porre temporalmente nel contesto della guerra gotica, da far risalire alla distruzione di Milano da parte di Teia e Uraia, tant’è che gli stessi Longobardi alla città imperiale preferiscono Monza e Pavia.
I Longobardi si espansero ulteriormente ed intorno al 599 conquistarono il Basso Piemonte, tagliando la Liguria dal resto dell’Italia bizantina. Negli ultimi mesi del 643, Rotari conquistò tutta la Liguria, che quindi rientrò nel Ducato di Asti, suddivisione amministrativa della Neustria longobarda.

Dai carolingi alla prima indipendenza
Dopo la dominazione longobarda, durante il IX secolo, il territorio ligure passò sotto il dominio di Carlo Magno e venne organizzato in contea.
Con l’affievolirsi del controllo centrale, Genova venne accreditata a un’aristocrazia locale di vicari (vicecomites, cioè visconti). Nel 950-951 il re Berengario II terminò la riorganizzazione del territorio del nord d’Italia, iniziata da Ugo di Provenza costituendo la Marca Obertenga: Milano e Genova furono affidati a Oberto I, capostipite di una schiatta che aveva le proprie roccaforti a Luni e Sarzana. Nella lotta tra Berengario ed Ottone di Sassonia il marchese Oberto I si schierò a favore di quest’ultimo, mentre la città di Genova giurò fedeltà a Berengario e al figlio Adalberto, ottenendo così, nel 958, un diploma che dichiarava indipendente la città e i possedimenti dei suoi cittadini da qualsiasi “duca, marchese e conte, sculdascio, decano o qualsiasi altra persona grande o piccola del nostro regno”. Simile indipendenza verrà poi confermata dal marchese Alberto dei Malaspina (famiglia originata dagli Obertenghi) nel 1056.I saraceni, che al tempo battevano le coste del bacino occidentale del mar Mediterraneo, nel 935 mettono a ferro e fuoco Genova. La storia è raccontata da Liutprando da Cremona, non testimone oculare, ma quantomeno coevo. Più di duecento anni dopo Jacopo da Varazze ci racconta di come i Genovesi, ripresisi presto, inseguirono i saraceni sino all’isola dei Buxinarii a nord est della Sardegna e li sterminarono, ammonticchiando le carcasse a monito, tant’è che da quel dì l’isola prese il nome di Mortorio. Anche se non ci si può fidare della veridicità di tale aggiunta jacopea, essa è indice di una costante belligeranza marittima. L’episodio comunque non mise termine alla saga: sempre Jacopo ci racconta di come cinquant’anni dopo, nel 985, il vescovo genovese Landolfo I trasla le spoglie di San Siro, protettore di Genova, all’interno della cinta muraria nella Cattebrale, per paura di un’eventuale furto da parte di nemici irreligiosi. Questo evento occorre ben tredici anni dopo la spedizione punitiva genovese contro la colonia arabo-berbera di Frassineto nel 972: si viveva quindi un continuo stato di allerta lungo le coste mediterranee per le ripetute incursioni di pirati di entrambe le religioni.
Data la longevità del centro di Frassineto rispetto ad altri rifugi sarracini, gli studiosi suppongono che la colonia fosse uno stabile emporio commerciale, più che ricetto di filibustieri: ciò non toglie che da lì potessero partire avventure piratesche. Facile capro espiatorio, Frassineto venne distrutta nel 972-973 dalle forze congiunte di liguri e provenzali, organizzate da Guglielmo I di Provenza con l’aiuto del piemontese Arduino il Glabro e col beneplacito di papa e imperatore.
Gli Obertenghi parteciparono indirettamente alla guerra, attraverso i ben più motivati vicari genovesi che proprio in tale occasione si organizzarono nelle tenaci coniurationes che porteranno alla costituzione del comune indipendente e poi della repubblica.
La distruzione di Frassineto non fermò da parte islamica né altre invettive piratesche né più ampie azioni militari, come il tentativo di conquista della Sardegna da parte di Mujāhid al-ʿĀmirī, wali di Denia e delle Baleari. Nel 1016, Genova alleata a Pisa, sbaragliarono la flotta andalusa.

Guglielmo Embriaco e la Prima Crociata
Le prime basi del colonialismo genovese furono poste con le crociate, durante le quali gli interessi, dal limitato orizzonte della riviera, si spostarono a Oriente. La prima spedizione genovese partì con gli altri crociati europei nel 1097, e con la conquista di Antiochia, i genovesi ottennero una chiesa ed un fondaco, ovvero un quartiere commerciale proprio nella città liberata. Fu sulla via del ritorno che i crociati liguri trovarono quelle che furono ritenute le ceneri di San Giovanni Battista, che in seguito si affiancò a San Giorgio e San Lorenzo come patrono della città. Fu determinante l’aiuto offerto dai genovesi per la conquista di numerose città della Terra Santa, prima fra tutte Gerusalemme, dove il capitano e ammiraglio Guglielmo Embriaco giunse con truppe fresche e rifornimenti in un momento di grande sconforto. Consci di essere incalzati dalle truppe nemiche, Guglielmo e suo fratello Primo ordinarono lo smantellamento delle navi, e con il legname al seguito, si diressero verso la città santa. Ideate e costruite con le navi smontate furono alcune innovative armi d’assedio quali la torre mobile, con la quale Embriaco si arrampicò da solo sulle mura della città, incitando i soldati cristiani a fare altrettanto. Grazie al riutilizzo di un “bolzone”, una sorta di ariete sospeso, con il quale gli assediati tentarono di respingere le torri, i crociati poterono raggiungere le mura e da lì irrompere nella città, conquistandola. Addirittura Baldovino, re della Gerusalemme conquistata, succeduto al fratello Goffredo di Buglione, fece incidere sull’architrave della chiesa del Santo Sepolcro la scritta a caratteri d’oro “Præpotens Genuensium præsidium” (rinforzato presidio genovese), cancellata alcuni anni dopo da un suo successore.
Nel 1100 l’Embriaco, assieme all’annalista Caffaro di Rustico da Caschifellone, futuro console e “padre della patria”, guidò la terza spedizione ligure in Terrasanta, dove lo stesso Caffaro riferisce un atto di eroismo dell’Embriaco alla presa di Cesarea: rimasto isolato dai suoi uomini per il crollo di una scala a pioli, riuscì secondo la cronaca a catturare un prigioniero e usarlo come ostaggio per garantire l’arrivo dei crociati sulle mura in suo aiuto. Grazie alla presa della città, i genovesi poterono conquistare il Sacro Catino, reliquia tuttora conservata nella cripta della Cattedrale di San Lorenzo, in città. I più celebri e ricchi possedimenti furono Giaffa (oggi parte di Tel Aviv), Gibello, Cesarea di Antiochia e San Giovanni d’Acri in Terra Santa.

Le crociate di Spagna
Nel 1147, Genova, non partecipando alla seconda crociata in Terrasanta, intervenne invece nella cosiddetta “Crociata di Spagna”, processo facente parte della Reconquista, con la quale la dinastia degli Almohadi di religione islamica, vennero cacciati dalla Penisola iberica, Processo, quello della Reconquista, durato comunque assai a lungo, al quale partecipò, passando alla storia (soprattutto letteraria) il celebre El Cid Campeador, che militò nell’una e nell’altra parte, e che fu concluso da Ferdinando II di Aragona. Uno dei Califfi tentò un’alleanza con Pisa, e Genova per tutta risposta assalì una sua flotta, depredando ben 22 navi. L’impresa iberica venne guidata dal console Caffaro. Assieme ad Oberto della Torre, assediò Minorca. Durante la notte i genovesi furono assaliti dai mori: l’attacco, sventato, favorirà l’ingresso dei liguri in città, dove gli abitanti furono resi schiavi. Caffaro quindi mosse su Almeria (1147, vedi Battaglia di Almeria), con il placet del Re di Castiglia che intanto conquistò Cordova. I musulmani di Almeria, timorosi di fare la stessa fine di Minorca, offrirono 113.000 marabottini ai genovesi per la pace. Caffaro rifiutò la pace, e concesse soltanto una tregua, cosicché i musulmani gli offrirono 25.000 marabottini più la consegna dell’emiro e di altri 8 ostaggi, come anticipo, ottenendo il consenso di Caffaro. Durante la notte l’emiro si diede alla fuga, e ai genovesi non restò che attaccare la città il giorno seguente con un assalto alle mura. Il Re di Castiglia chiese ai genovesi di attendere il suo arrivo prima di entrare in città, promettendo di arrivare con tutto il suo esercito. In cambio offrì ai genovesi 2/3 di Almeria per 30 anni, una chiesa ed un fondaco in tutte le città conquistate. Caffaro accettò la proposta del re e levò temporaneamente l’assedio.
I genovesi tornarono con una flotta di quasi 200 navi presso la città, ma i rinforzi del re non si videro, fu inviato solo il Conte di Barcellona con pochi armati. I genovesi, sentitisi traditi, diedero l’assalto in dodicimila alla città, e la conquistarono facendo ventimila morti e diecimila prigionieri, senza l’aiuto del Re di Castiglia che arrivò soltanto a conflitto quasi terminato in modo da onorare parzialmente l’accordo. Nel (1149) assieme ai Cavalieri Templari, al Signore di Montpellier, a crociati inglesi e soldati tedeschi e fiamminghi, i genovesi attaccano Tortosa. Gli ingegneri genovesi costruirono un castello mobile circondato da guarnizioni di reti, in modo da reggere l’urto dei proietti di catapulta nemici. I soldati del Conte di Barcellona intanto disertarono per non essere stati pagati. I genovesi, sempre più feroci e scontenti dei loro alleati, ottennero una tregua di 40 giorni dai saraceni: se alla fine di essi da parte saracena non fossero arrivati rinforzi, l’emiro avrebbe ceduto la città. Così accadde, ed anche Tortosa cedette allo lo stendardo di San Giorgio.
Stretti accordi commerciali con i monarchi spagnoli, i genovesi ottennero fondaci e colonie e consegnarono le città agli spagnoli. Le imprese di Spagna saranno incise in latino sulle targhe ancora oggi presenti sul cancello della città di Porta Soprana: “Da guerra del mio popolo fu scossa finora l’Africa oltre le regioni dell’Asia da qui tutta la Spagna. Conquistai Almeria e soggiogai Tortosa, sette anni fa questa e otto anni fa quella”.

Genova e il Sacro Romano Impero
Federico Barbarossa segnò senza dubbio la storia italiana: eletto come Sacro Romano Imperatore nella prima metà del XII secolo, reclamò gran parte dell’Italia come dominio imperiale. Convocata la celebre “Dieta di Roncaglia” l’imperatore ricevette tra gli altri delegati anche Caffaro e Ugo della Volta, i quali gli manifestarono l’intenzione della Repubblica a restare indipendente dal dominio imperiale. I liguri avevano già ottenuto da un predecessore dell’imperatore nel 1139 il diritto di battere moneta, sempre tuttavia con effigie imperiale, senza servirsi della zecca di Pavia, il primo passo verso una maggiore indipendenza. Ricevendo dagli italiani parecchie opposizioni, Federico passò alle minacce e sfogò la sua aggressività sul nord-Italia, attaccando città come Asti o Tortona. In principio non intervenne militarmente sulla principale oppositrice, Milano, né tanto meno su Genova, ma giunse infine a Roma dove si fece incoronare, ed elesse un “antipapa”. Appurata ancora l’opposizione dei comuni lombardi, attaccò ed espugnò infine Crema e Milano. In quel momento attese un segno di distensione dalla repubblica genovese. I consoli della repubblica, tra cui Guglielmo Porco e Guglielmo Lusio, ordinarono di rinforzare le mura della città di Genova. La costruzione avvenne in tempi di record e impegnò l’intera cittadinanza. A testimonianza dell’esistenza di quelle mura resta ancora oggi Porta Soprana. Appurata l’inespugnabilità di una città costiera che poteva rifornirsi dal mare, Federico chiese un giuramento di fedeltà da parte della repubblica, al quale i consoli acconsentirono purché non dovessero versare tributo, ed ottennero la pace, la stessa pace che Milano dovrà ottenere con la forza a Legnano. In cambio della rottura dell’alleanza con il Regno Normanno di Sicilia, di orientamento guelfo, i genovesi ottennero inoltre dall’imperatore il diritto di eleggere i consoli e amministrare la giustizia senza influenza imperiale. Federico, sconfitto dalla Lega Lombarda, morì infine guadando un fiume durante la Terza Crociata.
I genovesi ottennero dal Re di Francia un lauto pagamento per il trasporto dei crociati francesi in Terrasanta, dove il Saladino aveva riconquistato Gerusalemme. Riccardo Cuor di Leone rifiutò invece l’offerta genovese, ma si recò lo stesso in città per discutere la strategia di guerra con il monarca francese.
Quella con il Barbarossa, non fu l’unica tensione genovese contro la potenza che dominava allora sull’Europa: Federico II, con l’aiuto del fuoriuscito genovese Ansaldo De Mari, tentò di minacciare la città con una flotta da guerra. Anche allora i genovesi risposero con audacia, armando una loro propria flotta in tempi rapidissimi e costringendo quella imperiale a ripiegare. La morte dell’Imperatore impedì che il conflitto proseguisse.
Tale era comunque la potenza genovese sul Mediterraneo che proprio dalle navi genovesi gli Inglesi trassero la loro bandiera, usata dai convogli di Sua Maestà per navigarvi in sicurezza, per concessione del Doge e sotto pagamento di un’ammenda. La concorrenza di Pisa e Venezia, nonché la rivincita musulmana sugli stati crociati sotto Saladino, posero termine ai domini in Medio Oriente e alle vivaci e ricchissime colonie là create dai Genovesi.

Fine del governo consolare e inizio di quello potestale
Con dure lotte, specie contro i Malaspina, i genovesi presero finalmente controllo della Liguria, lasciando poche zone franche come Noli. Savona in quest’epoca iniziò a crescere come città e a dare noia alla Superba. Tutto questo passò presto in secondo piano, poiché Genova piombò in guerra civile, che si era evitata per molti anni. La formazione delle “Rasse”, (vere e proprie fazioni massoniche) e le rivalità tra i feudatari fuori città portarono allo sfascio. Per un problema di precedenze, si innescò uno scontro armato tra i sostenitori di Fulcone di Castello e quelli di Rolando Avvocato. Il figlio di quest’ultimo rimane ucciso. Il conflitto tra le due casate trascinò diverse famiglie in esso, tra cui i Della Volta, parenti di Fulcone, che chiamarono duecento Scherani (cioè assassini prezzolati) in città. Era diventato altresì impossibile chiamare il parlamento a consiglio per paura di risse, e nelle spedizioni militari per pacificare la Liguria, una fazione spesso abbandonava il campo se v’erano esponenti dell’altra presenti. I consoli erano disperati. Nel 1163 crearono un nuovo Corpo di Polizia affinché facesse piazza pulita di chi, fingendo faziosità, facesse il bandito: come pena v’era l’impiccagione, l’ammenda o il taglio di mani o piedi. In città però continuavano i tumulti e i consoli vararono una legge dove tutti i cittadini avrebbero dovuto dichiarare la pace, dopo una sfida a duello dei due leader faziosi e contendenti, qualsiasi fosse l’esito. I due capi fazione non poterono rifiutarsi e una mattina le campane della Cattedrale di San Lorenzo suonarono per dare inizio al duello. Tutta la città rimase in silenzio, mentre Rolando e Fulcone in armatura si avvicinarono all’arcivescovo Ugone della Volta, il quale tentò di mediare per l’ultima volta ai loro dissidi. Rolando pianse ricordando affettuosamente il figlio morto fino a gettarsi a terra. E dicendo di non volere essere responsabile di altre morti che certamente avrebbero seguito le loro, invocò la pace. Lo stesso fece Fulcone, aspettando l’approvazione, che arrivò, del suo capofamiglia. E a Genova per nove anni vi fu la pace.

 

Nel 1191 le risse si erano riaccese a Genova; per ovviare a ciò, si decise di abolire i consoli eletti localmente tra i maggiorenti della città, e di nominare un Podestà chiamandolo da una città esterna, in modo che potesse essere imparziale. Sarebbe stato affiancato da un Consiglio Maggiore o Senato, dai consiglieri del Magistrato degli Otto e dal Consiglio Minore. Purtroppo alla nomina di Manegoldo del Tettuccio, primo podestà, i figli dello stesso Fulcone di Castello, irruppero nel luogo della cerimonia del passaggio di consegne tra consoli e podestà, e uccisero l’ex-console Lanfranco Pevere, colpevole a loro detta di avere favorito la fazione degli Avvocato. I “folchini” scapparono a Piacenza, e Manegoldo fece radere al suolo il loro palazzo per punizione. Fino al 1270 le lotte tra casate continuarono tra precari periodi di pace, ed in esse può essere individuata la relativa debolezza della Repubblica.

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